Ancora a Kilis

Un kebab a pranzo, carichiamo pacchi alimentari ed angurie e si và.

Il programma per il giorno è andare nelle varie “case”, in realtà piccole stanze mezze diroccate e garage riconvertiti a mo’ di appartamento, per consegnare ad ognuno un sacchetto, un pacco, una parte di quello che abbiamo con noi. Primo garage, la casa di Maide ed ecco che il cuore si risveglia. Si ogni bambino, ogni bambina, ogni famiglia, ha eguali difficoltà, eguali diritti ed eguali necessità, ma per me Maide ha un significato particolare, è l’inizio del mio percorso in questi luoghi, è il simbolo di quello che con gli atri del gruppo stiamo riuscendo a fare, è nello stesso tempo la tragedia e la speranza di questo popolo. Maide è li, sempre con il suo timido sorriso appena accennato, ci accoglie con la sua dolce tristezza, sorelline e fratellini in attesa di un domani che noi speriamo sia diverso e che per ora è sempre uguale. Maide per me è il cuore ed il simbolo di tutta la Siria, ragazzini condannati ad un futuro non deciso da loro, che hanno negli occhi una dolcezza infinita e sullo sfondo il terrore di una guerra ancora troppo vicina, e noi che arriviamo li pensando di essere re magi con i doni nelle sacche ed invece siamo piccoli portatori di piccole speranze.

Quello che possiamo è poco, è nulla, eppure ci accolgono sorrisi, abbracci e mani sul petto in segno di saluto e di rispetto. Non riesco a fare una cronistoria, non ce la faccio, mi sentieri un cronista gelido e distaccato e non lo sono, per certi versi sono ancora li. Entri in una “casa” stanno preparando la cena e ti offrono un falafel, ceci essiccati, pane, cumino e cipolla, una povera cosa dal sapore infinitamente buono, il sapore di chi ti accoglie nella sua casa perchè accogliere è nella natura umana, è il ricordo delle porte aperte delle nostre case quando comandavano i sentimenti e non il denaro, il sapore di chi sta spezzando con te il suo poco, perchè vuol farti sentire accettato vuol farti sentire a casa tua.

La tua casa è la mia casa… anche se la casa non c’è. Poi vai a prendere altri sorrisi ed altri abbracci, alcuni anche soffocanti di quel mancare d’aria di cui vorresti morire. Acquistiamo vernice, stucco e rulli per la casa di Raya (nome di fantasia per i noti motivi) ed approfittiamo per dare una sistemata anche ad un altra stanza in cui vivono in 9 tra genitori e bambini, mentre stucchiamo e verniciamo diamo un calcio ad un pallone, Carmine è un grande, Paolo preso in giro da tutti per un estro tutto suo nel “dipingere” si dà da fare, Monica coccola il piccolo nato da poco, Dario e Federica giocano a lanciarsi la palla con i piccoli di casa, Nicola cerca di controllare ma si perde negli abbracci ed io sono perso quanto gli altri e penso a casa, mia figlia mia moglie, i miei amici e al gruppo che mi ha permesso di arrivare qui a capire che alla fine qualcosa abbiamo fatto, qualcosa di importante abbiamo realizzato, noi andiamo e “Raya” entrerà in una casa accogliente, Maide avrà il suo vestito per la scuola, Veysel qualche pasto in più, Hatice e Leyla il nostro piccolo sostegno.

Ultimo giorno ed “ultimo” campo profughi, come raccontare di un the offerto da chi non ha nulla, abbiamo portato un pacco di alimentari per famiglia e ricevuto quanto di più grande si possa avere, gratitudine, chiedete a Nicola, Paolo, Monica, Federica, Dario e Carmine, chiedete a me cosa significa tenere per mano un bambino che saltella nell’attesa di un palloncino, di una caramella… di un abbraccio. E’ inutile non riuscirò mai a scrivere un resoconto dettagliato, riesco a malapena a raccontare di quanto sento. La nuda “cronaca” è vestiti, ciabatte (donate il mese scorso), zampironi, la casa per Raya, il rinnovo dei sostegni, pacchi alimentari per le 29 famiglie del nuovo campo profughi, con l’aiuto dei miei compagni di viaggio, e amore, si amore, dove l’acronimo q.b. non funziona perchè non potrà bastare mai.

A presto Kilis, Porto Recanati solidale non molla.